Cronache del Coronavirus ovvero pillole semiserie dal Paese più tragicomico del mondo

marco ursano Indieblog

L’assalto ai forni

Emuli della plebe manzoniana che assaltò il forno delle grucce e bruciò gli attrezzi da fornaio in Piazza Duomo a Milano, in tutto il nord Italia folle inferocite e munite di maschere antigas hanno saccheggiato gli scaffali di Coop, Conad, Superal ed affini, convinti di trascorrere i prossimi sei mesi in quarantena all’interno della zona rossa del loro cervello. Convinti da chi? Ma dal mix Governo/Banda dei Quattro/giornali/social, più letale che la peste e il corinavirus messi assieme. Andate a rileggervi il Manzoni per conoscere il suo giudizio sulla folla. Io non mi permetto di aggiungere altro, sarebbe davvero lesa maestà. Ah, la Banda dei Quattro? Non quelli epurati dal partito comunista cinese, ma i governatori delle regioni del nord a trazione leghista: quello con la mascherina, quello dei cinesi che mangiano i topi vivi, quello che nessuno sa chi è; e, last but not least, il Totidrone.

Il golfino di Casalino

L’azzimato Presidente Conte durante i giorni epidemici ha cambiato outfit: da completo sartoriale con pochette e gemelli ad un più combattivo e manageriale maglioncino di marchionnesca memoria. Indossando il golfino ha presieduto i consigli dei ministri di guerra, i consigli dei ministri e protezione civile allargati di guerra, le conferenze stampa con i dati dei bollettini di guerra aggiornati in tempo reale. Di guerra al virus, naturalmente. Tutto organizzato, ripreso, fotografato, filmato dall’ineffabile ed etereo Casalino, che nel frattempo si è auto rinchiuso in quarantena volontaria nella casa del Grande Fratello Vip, divulgando in modalità smart working il suo capolavoro di comunicazione rassicurante. Risultato: amplificazione esponenziale dell’allarme virus in Italia in giro per il mondo. Anche qui l’aiuto determinante della Banda dei Quattro non è mancato. Conseguenze: una botta epocale all’economia e l’inclusione dell’Italia negli Stati Canaglia per il coronavirus, con tanto di blocco di vacanzieri alle Mauritius (come si sta dall’altra parte, padani?) e milioni di disdette di alberghi e bed and breakfast nel Belpaese. Finalmente si potrà girare in pace alle Cinque Terre, senza quei cinesi che ci menano il belino, mugugnano molti dei miei lungimiranti ed urbani concittadini. Sui social sta girando da un po’ l’hashtag #italiandrama, corredato da maschere di Pulcinella. Hanno ragione, siamo il Paese del melodramma, e niente ci piace di più che la parola “emergenza”. Viviamo nella perenne emergenza, prosperiamo, ci compiaciamo, ci riconosciamo, ci auto erotizziamo nell’emergenza. E nella retorica dell’eroismo della risposta all’emergenza. Grazie medici, grazie infermieri, grazie forze dell’ordine, grazie Protezione Civile, grazie tutti. Grazie Rocco!

Il Totidrone 

Il Totidrone, o Giampetoti, come preferite, è una creatura antropomorfa, incrocio tra Giovanni Toti, Presidente della Regione Liguria e Giacomo Giampedrone, Assessore alla Protezione Civile. E’ come se i due si fossero fusi in un unico organismo multicellulare, Don Chisciotte e Sancho Panza, Zagor e Cico, Stanlio ed Ollio. Al Totidrone bisogna concedere, per onestà intellettuale, raffinatezze comunicative che i colleghi politici si sognano. Morisi e Rocco, scansatevi! Il Totidrone possiede anche il dono dell’ubiquità: riesce a fare quattro conferenze stampa in quattro luoghi diversi della regione Liguria in contemporanea, a spostarsi da Spezia a Ventimiglia in mezz’ora. Forse hanno dei sosia; peraltro un cartonato di Giampy con la polo della Protezione Civile e lo smartphone perennemente in mano è di facile realizzazione. Povera collega dell’ufficio stampa regionale (bravissima, senza ironia), costretta ad inviare una media di 75 comunicati stampa al giorno, dalle sei del mattino a mezzanotte. In ogni comunicato sono sciorinati dati su dati: resoconti riunioni delle 25 unità di crisi, numero di telefonate ai numeri dell’emergenza, numero di viaggi in ambulanze, numeri di guanti e mascherine, di ricoveri, contagiati, quarantene domiciliari, casi sospetti, casi conclamati, pullman in partenza con contagiati per il Piemonte e la Lombardia. Mancano giusto gli orari dei treni, i numeri estratti nelle sale Bingo ed i risultati del calcio amatoriale anche se non gioca. Ed in ogni comunicato, ma proprio in tutti, campeggiano le dichiarazioni di Totidrone, sempre in ordine di importanza, prima Toti e dopo il Drone. Ogni tanto ci infilano anche la Viale, l’assessore leghista alla sanità più incompetente della storia degli assessori alla sanità ed il capo di Alisa, l’agenzia regionale per la sanità, che ha il nome di un fumetto, infatti la gestisce come in un cartone animato, vedi Felettino. La logica è: fanno tutto sanitari e tecnici, ma noi facciamo credere ai gonzi che ci votano che facciamo tutto noi. Lo sforzo di presenzialismo, fisico e virtuale, è notevole. Chapeau. Il capolavoro? La riapertura delle scuole, ma da mercoledì. Perché così si accontenta tutta la platea elettorale: mamme favorevoli che non ce la fanno più a gestire i piccoli rompicoglioni in casa; mamme contrarie che non ce la fanno più a gestite i piccoli rompicoglioni in casa, ma hanno paura della fine del mondo da pandemia; gli studenti fancazzisti diciottenni che a questo giro votano anche loro. La scuola democristiana è sempre la migliore. E comunque potevano sbattersi anche meno, tanto le elezioni regionali le hanno già vinte. A tavolino, per abbandono del campo da parte della sinistra più insipiente che esista e di quegli altri geni a cinque stelle.

L’uomo di Codogno

Altro che Roma e Venezia, Firenze e le Cinque Terre. Da qualche giorno il luogo italiano più famoso al mondo è Codogno. Terra di industrialotti, coltivatori ed allevatori, amanti del liscio e proprietari di seconde case dalla riviera di Levante alla Versilia. La zona rossa italiana, con quelle immagini di strade di pianura che si perdono nella nebbia e nella bruma serale, i complessi ortogonali di casette basse borghesi, i posti di blocco con i carabinieri con le mascherine, ogni tanto qualcuno che spunta sul ciglio di un marciapiede e bestemmia con quella parlata padana da ghe pensi mi. Potrebbe essere il set ideale di una serie americana apocalittica, di quelle ambientate nella Bible Belt, patria di stupratori di cugine, assassini seriali e fattorie abbandonate e distributori notturni. A Codogno è avvenuta una mutazione genetica di massa, in cui il laborioso e ringhioso padano si è trasformato in untore da rinchiudere dentro un enorme campo profughi a cielo aperto, profugo lui stesso, sperduto in un mare di campi coltivati e fabbrichette, come se qualche divinità pagana, crudele e beffarda, avesse applicato una grottesca legge del contrappasso tra i viventi. Qualcuno è anche riuscito a fuggire dal confino, portando con sè la paura del contagio. I più sono rimasti nelle loro case, pazienti e ordinati, dimostrando senso civico. Alla fine, la lezione che si può trarre è di una evidenza che avrebbe messo in imbarazzo anche Monsieur Lapalisse, ma è bene sottolinearlo in questi tempi instabili: ognuno di noi nella vita può diventare un profugo, un reietto, anche per poco tempo. Ed avere bisogno della compassione e dell’aiuto degli altri.

I giornalai e lo sciacallo 

Quando mi chiamano “giornalaio” al posto di giornalista, in genere mi incazzo per riflesso condizionato. Non che abbia niente contro i giornalai, anzi. È per il senso dispregiativo, che sottende che il giornalista, nel miglior dei casi, sia una iena assetata di sofferenze altrui ed un leccaculo del potere. Come tutti coloro che svolgono il proprio mestiere all’interno di categorie professionali, tendiamo ad essere corporativi. Ma sulla vicenda coronavirus la mia categoria è, tranne rarissime eccezioni, indifendibile. Abbiamo sguazzato nel virus neanche fossimo ricercatori in un laboratorio, contribuendo a trasmettere paura, confusione, esagerazione, allarmismo. Paginate e paginate, ore e ore di trasmissioni televisive monotematiche dense di ogni tipo di sproloqui, in ossequio alle maggiori vendite in edicola ed ai livelli di audience. Per poi passare dall’apocalisse alla voglia di normalità nel giro di un paio d’ore, quando ormai il danno mediatico era fatto. Perdendo ancora pezzi di credibilità. Alcune testate hanno anche garantito la cassa di risonanza al peggior sciacallo politico che questo Paese ricordi dal dopoguerra, che non voglio neanche nominare tanto mi fa ribrezzo e poi l’algoritmo della Bestia lo indicizza e lo spara per i social aumentandone la popolarità. E qui casca l’asino, la sconfitta del giornalista che dovrebbe quantomeno provare a guardare le cose da una certa distanza. Parafrasando Paul Aster in un suo stupendo libro, il giornalista non può essere colui che scaglia il mattone contro una vetrina, anche se per una buona causa; ma colui che racconta di chi lo scaglia, attenendosi ai fatti. Eppure sono quasi certo che se incontrassi per strada lo sciacallo, magari non gli tirerei un mattone, ma un bel pattone sul muso proverei a darglielo. Meglio dedicarsi alla letteratura, senza dubbio.

Il fantavirus 

Il Presidente dell’Ordine nazionale dei biologi, Vincenzo D’Anna, ha formulato l’ipotesi che il virus isolato al Sacco di Milano sia di ceppo autoctono e che non abbia a che fare con quello cinese; originato non dai pipistrelli con gli occhi a mandorla, ma dalle batterie di polli e bovini degli allevamenti intensivi lombardi.  Due virus in coesistenza, uno nostrale e l’altro di importazione. Tralasciando l’ironia del caso, dopo anni di retorica fascioleghista sui migranti negri portatori di ogni malattia ed ora i negri sono loro, e gli aspetti sanitari, capire i diversi livelli di contagio e pericolosità eccetera, ci sarebbe da chiedersi il motivo di tale dichiarazione roboante, salvo poi specificare che “è solo un’ipotesi da verificare in laboratorio”. Prima verifica, e poi, se è utile a qualcosa, spara. Perché abbiamo davvero bisogno di aggiungere allarme ad allarme, specialmente per favorire la nostra economia. Ed il virus autoctono è l’ideale per bruciare altri miliardi di euro in borsa. D’Anna ha detto anche che siccome il virus lombardo è meno aggressivo e meno pericoloso, tutte le misure governative, le quarantene sono state praticamente inutili ed hanno favorito solo allarmismo. Ed invece tu ci rassicuri, fenomeno. Bellissimo questo dibattito tra scienziati, vedi Burioni VS la signora del Sacco, naturalmente amplificato dai media, favorisce davvero chiarezza e tranquillità. Quasi quasi mi sono più simpatici gli scemi del complotto franco-americano contro Di Maio, reo di avere aperto la nuova via della seta con la Cina. E così noi sguinzagliamo i nostri dormienti del progetto Treadstone per creare il virus in laboratorio, diffonderlo ed affossare le vostre economie, maledetti traditori.

to be continued…